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Lo zainetto del genitore: la mappa e la bussola per il viaggio verso l’Autostima del figlio

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Camminare assieme, al fianco, al passo….

In uno dei commenti al precedente articolo sull’Autostima, una mamma (che ringrazio per la partecipazione attiva e per l’utilissimo spunto) chiede consigli pratici per i genitori, indicazioni per aiutare e sostenere i figli nel percorso di acquisizione di una conoscenza di sé realistica e serena. Ci ho pensato a lungo e ho trovato difficile individuare esempi concreti perché ogni situazione, ogni famiglia, ogni bambino è un caso diverso e quindi non esistono soluzioni a priori. E’ però certamente vero che ci sono linee di fondo che possono essere usate come “navigatore” sulla difficile strada del cercare ciò che è “meglio” nei vari momenti di vita.

Come abbiamo già detto in precedenza, il nucleo primario dell’Autostima viene costruito dall’individuo sulla base di ciò che l’adulto di riferimento gli rispecchia: un bambino

  • guardato con amore
  • accolto nei suoi bisogni profondi
  • ascoltato con attenzione
  • considerato come essere pensante e degno di stima fin da piccolo
  • accolto per ciò che è e non per ciò che si vorrebbe che fosse
  • ….

ha già ottimi presupposti per crescere con una stima adeguata di sé. E’ come se il piccolo potesse dirsi: “Se coloro che amo mi amano, sono degno di amore e di stima, quindi valgo, quindi tutti mi possono stimare”. Questi atteggiamenti di fondo dovrebbero accompagnare il rapporto genitore-figlio per tutta la vita ed è ciò che io considero LA BUSSOLA. Quando non sappiamo che fare o rispondere, come madre o padre, prendiamo tempo, usiamo la Corteccia Prefrontale (la parte razionale-empatica del nostro cervello, quella parte che solo il mammifero umano ha sviluppato) anziché l’istinto di difesa e sopravvivenza (comune ad altre specie) e orientiamoci verso ciò che è “meglio” per la relazione (vedi anche “Parlare o Comunicare?” in Informazione e Formazione). E’ preferibile “mancare un colpo” nella situazione che chiudere la possibilità di dialogo e confronto con il bambino/ragazzo. Chi ha, o ha avuto, un figlio di tre anni o adolescente, comprenderà immediatamente ciò che sto dicendo: se questa bussola serve sempre, nella fase di separazione-individuazione dei 2-3 anni e in adolescenza è indispensabile (vedi anche “Adolescenza e..” in Informazione e Formazione).

La bussola è quindi un atteggiamento di ascolto e accoglienza che ci orienta nel dire e nel fare: sarà bene averlo sempre presente, perché incide profondamente nella costruzione del Sé del bambino.

Se la bussola è uguale per tutti, LA MAPPA è unica e irripetibile per ciascun individuo, e’ IMG_20180819_062058.jpgil percorso di vita di ognuno. Avere accanto genitori esperti del cammino e abili lettori di mappe, renderà il viaggio una meravigliosa esperienza anzicchè un pauroso percorso.

Innanzittutto, è necessario insegnare al bambino a leggere da solo la mappa! Ciò significa che sostituirci a lui nei suoi piccoli-grandi passi o lasciarlo solo nel compierli non sarà un aiuto efficace. Il compito del genitore è stare al fianco, stare al passo, consigliare ed educare, perché non permettere l’esperienza diretta non produrrebbe apprendimento. L’apprendimento emotivo è, si sa, la strada regale: “Non ti dico come fare, non lo faccio al posto tuo, ma lo faccio con te, mi emoziono con te, ti spiego le tue emozioni”. Il riconoscimento delle emozioni è dunque uno strumento prezioso di lettura della mappa: comprendere ciò che si prova aiuta a capire la direzione da scegliere nei bivi che incontriamo (sull’intelligenza emotiva, si potrebbero scrivere capitoli, ma non è questa la sede per farlo, dobbiamo piuttosto auspicare che questa consapevolezza entri sempre più nelle nostre case e nelle nostre scuole, come in molti contesti  già sta accadendo).

Altra indicazione strategica è quella di segnarci sulla mappa dei luoghi di sosta e ristoro (dove fare il punto della situazione, da soli o aiutati da un esperto), di mete da raggiungere “prima che faccia buio”. Uscendo dalla metafora: sarebbe una buona cosa che i genitori potessero essere messi a conoscenza degli stili di attaccamento che offrono al figlio e sull’importanza di fornirgli una immagine di Sé (ciò che si è) che coincida con il Sé Ideale (ciò che si vuole diventare) e con i Sé Possibili (ciò che si può diventare) (vedi anche “Biancaneve, la Strega e lo Specchio” in Informazione e Formazione). Quando c’è coerenza tra queste tre parti del Sé vi sarà anche un individuo sereno, capace di affrontare salite e discese del percorso, attribuendole a fatti concreti e non alle proprie capacità (siano esse vissute in eccesso o in difetto).

Queste righe, dunque, vogliono essere solo un piccolo approfondimento di una traccia già abbozzata in L’AUTOSTIMA: la sua importanza e il guaio di averne poca o troppa. Se tutto ciò non fosse chiaro (è difficile semplificare senza banalizzare) o se desideraste scendere in esempi più concreti, contattatemi pure anche privatamente, o sfruttate le occasioni formative che trovate nei link dell’articolo.

Zaino in spalla!

Buon lavoro! 

adolescenti, adulto, bambino, divulgativo

L’AUTOSTIMA: la sua importanza e il guaio di averne poca o troppa .

Una buona definizione di autostima potrebbe essere: “la percezione realistica che un individuo ha di se stesso, del proprio valore intrinseco e delle proprie capacità”, è intimamente legata all’immagine di Sé, ed è un ingrediente fondamentale per una vita serena e libera. E’ una definizione che, per certi versi, potrebbe coincidere con il concetto di umiltà, intesa nella sua reale accezione: umile non è chi si ritrae e nega il proprio valore, ma chi ha piena consapevolezza di quanto vale e mette a frutto ciò che ha. Questa dimensione di auto-conoscenza e pieno utilizzo del proprio potenziale è ciò che dà all’individuo un senso di completezza e soddisfazione. Sappiamo tutti quanto sia frustrante essere limitati, o imporsi una limitazione, quando potremmo dire o dare molto di più.

Pertanto l’autostima è alla base della piena realizzazione della parte più intima del Sè ed è per questo che coltivarla fin da piccoli è il più prezioso dono che ci si possa fare. 

In effetti, la maggior parte di noi soffre un po’ nell’autostima: sia che ne abbia poca sia che ne abbia troppa sta male e, a volte sorprendentemente, la sintomatologia si sovrappone. Ma da dove nasce l’autostima?

L’origine di questo tratto si può ricercare già nelle primissime ore di vita, si protrae nell’infanzia, ha una possibilità di rimodellamento in adolescenza, si struttura stabilmente in età adulta (in realtà è sempre possibile, a qualunque età, rimetterci mano, ma più le nostre idee in merito sono datate più è difficile cambiarle).

All’inizio dell’esistenza, sono fondamentalmente due le fonti che alimentano l’autostima: il parere di mamma e papà su di noi (o di chi ci è molto caro), e ciò che noi stessi constatiamo dei nostri successi, siano essi in ambito sociale o cognitivo.

E’ dunque molto importante che i genitori, i nonni, gli insegnanti rimandino al bambino una immagine coerente di ciò che lui è. Sminuire o lodare eccessivamente, ha lo stesso effetto: il bambino si sente incapace, e mette in memoria di esserlo. Piccoli troppo rimproverati o, all’estremo opposto, difesi ad oltranza, non potranno misurarsi fino in fondo con ciò che sono e non avranno occasione di provare le proprie capacità, tarandole sull’ambiente in cui vivono. Un bambino con un’autostima inadeguata potrà apparire  sia timido sia arrogante, con attacchi di rabbia o di paura, a seconda delle circostanze piuttosto che del suo modo di essere: a questa età non è ancora ben definita la “valvola di sfogo” e il piccolo esprimerà il suo disagio nei modi più diversi.

In adolescenza si presenta la grande occasione di rivedere la propria immagine: 

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Immagini di sè realistiche sono alla base dell’autostima
  • se l’immagine di base è già autentica, il processo sarà piuttosto lineare e il ragazzo sceglierà amici a lui simili, che confermeranno quell’immagine. 
  • se il Sé è carente potrà accadere che il ragazzo scelga compagnie che lo sottovaluteranno o che lo spingeranno a sovrastimarsi.
  • se l’idea  di sé è troppo alta, probabilmente il ragazzo si circonderà di due tipi di persone: quelle che secondo lui gli sono pari  oppure quelle con bassa autostima, che pur di essere accettate da qualcuno tollereranno un ruolo gregario; sia le prime che le seconde vengono generalmente scelte per ricevere lodi e mantenere l’immagine “grandiosa” del Sè. I giochi di intreccio tra alte e basse autostime sono qui evidenti. (se desideri approfondire, vedi: Ivana Matteucci, Comunicare la salute e promuovere il benessere. Franco Angeli Ed; Elena Cattelino, Rischi in adolescenza. Carocci Ed.)

La scuola è l’ente che ha la maggior possibilità di aiutare gli adolescenti, sia per la quantità di tempo che vi trascorrono, sia perché insegnanti attenti possono facilmente rendersi conto di dinamiche gruppali distorte. L’insegnante potrà dunque aiutare direttamente o sollecitare altri interventi. E’ quasi superfluo sottolineare quanto questo aspetto possa essere causale nel fenomeno del bullismo, sia per la vittima che per  il bullo. 

 

In età adulta, se la persona non è stata aiutata a modificare questa percezione alterata di se stessa, potrà andare incontro a problematiche importanti che coinvolgono anche chi le sta accanto. 

  • Se l’autostima è carente, potranno evidenziarsi momenti depressivi,  ritiri sociali, un non permettersi  occasioni di incontro positive, gioiose e di confronto  che favorirebbero l’emergere del valore dell’individuo. Non a caso, il sostegno tende a favorire  un potenziamento individuale e invita a confrontarsi con la realtà temuta.
  • Se l’autostima è troppa, potremmo assistere a fenomeni di “bullismo” anche nell’adulto: sminuire gli altri, ritenerli inferiori, è una conseguenza abbastanza evidente. Spesso ne deriva comunque l’isolamento sociale, in questo caso più come conseguenza che come scelta. Ancora una volta il sostegno punta al confronto con la realtà e l’evidenza dei fatti.

Sia per carenza che per eccesso di autostima, quindi, il soggetto soffre e le persone che gli vivono accanto si sentono spesso impotenti davanti a questo soffrire. Per l’osservatore esterno, che coglie il vero valore del’altro, è difficile comprendere perchè questi non riesca a credere in se stesso, o ci creda troppo.

Volendo dare solo un’occhiata a dove potrebbe portare questo problema se arrivasse a  punte estreme, possiamo considerare  un quadro patologico particolarmente insidioso: il “disturbo narcisistico di personalità ”. Kring e colleghi lo definiscono così: “le persone affette da DNP hanno un’idea grandiosa di se stessi e delle proprie capacità,

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Da “Psicologia Clinica”, Kring et al, Zanichelli ed.

fantasticano continuamente sui loro successi futuri, richiedono attenzione e ammirazione costante, sono invidiosi, hanno l’abitudine di approfittarsi degli altri e sono convinti di godere di speciali diritti, come se gli altri fossero tenuti a rendere loro favori del tutto particolari. Queste persone sono estremamente sensibili alle critiche e possono adirarsi quando gli altri non le ammirano… Quando interagiscono con gli altri il loro scopo primario è alimentare la loro autostima. Ma nel corso del tempo, finiscono per essere percepite negativamente. Se poi qualcuno fornisce prestazioni migliori delle loro in un compito rilevante per l’autositma, denigrano l’altra persona. Il loro interesse principale è vincere, non stabilire relazioni”. (Kring et al, Psicologia Clinica, Zanichelli Ed.).  Chi ne soffre tende quindi (per mantenere inalterato lo status che si è mentalmente creato) a  mentire, sia in privato che sui social,  in merito a identità e competenze.

Questo è solo un esempio tra tanti di dove può portarci un’autostima lesa, sia in difetto che in eccesso, e ci fa ulteriormente comprendere quanto sia importante avere costantemente presente che essa è uno dei beni più preziosi. La salute e il benessere della persona e della società dipendono in buona parte da essa, ed è proprio la società (dal micrositema familiare al macrosistema ambientale) ad avere compiti e responsabilità in tal senso. Un po’ come dire: se vuoi stare bene, abbi cura della buona crescita e dello stare bene degli altri, soprattutto dei cuccioli della tua specie, dando loro un immagine riflessa realistica di quanto sono e quanto valgono. 

 

 

 

adolescenti, divulgativo, Pensieri condivisi, videogioco

CYBER-CHE?

Una mamma (che ringrazio moltissimo per lo spunto), dopo aver letto l’articolo “Un gioco da ragazzi o un lavoretto da bambini?”, mi ha invitata a spendere due parole sul gioco virtuale “così demonizzato”. Inizialmente ho risposto che avrei aggiunto una riga accanto al gioco del ragazzo-adulto, nello stesso articolo, ma riflettendo sugli ultimi studi, ho deciso di allargare un po’ i pensieri. E’ un dato di fatto che i nostri figli, sempre di più e sempre più spesso, sono in possesso o hanno il permesso di utilizzare tablet, smartphone e computer per giochi on-line e non. La domanda è se questo sia un bene o un male. Come per ogni cosa, la risposta e la virtù stanno nel mezzo: dipende cioè da quanto tempo e per quale motivo concediamo loro questo utilizzo.

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Pro e Contro dello Spazio Virtuale

I CONTRO

Cominciamo a parlare dei “contro” perché sono le cose più note: un eccessivo impiego di strumenti tecnologici può avere, nel ragazzo e nel bambino, conseguenze psicologiche, fisiche e sociali.

  • Le conseguenze fisiche sono in parte abbastanza ovvie: l’aumento della sedentarietà e le ore di “reclusione” minano senza dubbio la crescita sana di un organismo in evoluzione. Meno noto è l’effetto che questi troppo prolungati esercizi hanno sui sistemi sensoriale e nervoso. Il senso della vista, ad esempio, può subire danni (soprattutto se gli schermi hanno luci di determinate frequenze) e se lo sforzo di convergenza si protrae per ore. A livello cognitivo e neurologico, la prestazione attentiva si abbassa per ogni cosa che non sia la richiesta del gioco e le aree corticali motorie iniziano a concedere ampie zone alla coordinazione del movimento del pollice, a scapito di una equilibrata partizione, frutto di secoli di evoluzione. E’ chiaro che ciò non succede in un attimo e che stiamo parlando di casi estremi, lì dove l’utilizzo del videogioco è quotidiano e troppo prolungato.
  • A livello sociale accadono principalmente due cose: da un lato un sempre maggior ritiro dalla “vita in piazza”, dall’altro una sempre maggiore ricerca di sensazioni forti e pericolose, specialmente da parte dell’adolescente. E’ stata per esempio dimostrata un’associazione tra l’uso prolungato di videogiochi violenti e Internet e la messa in atto di comportamenti aggressivi, sia a scuola che in contesti più ampi.
  • Si è constatata una riduzione dei comportamenti prosociali, fino a poter misurare elettrofisiologicamente che c’è un effetto di desensibilizzazione a livello cerebrale davanti alla violenza interpersonale (Anderson, Dill, 2000; Gentile e al. 2004; Chambers, Ascione, 1997; Bartholowe al, 2006; in Cattellino, 2012).
  • Altro effetto poco piacevole si ha sulle prestazioni scolastiche: non solo perché si sottrae tempo allo studio, ma anche perché i livelli di tensione e attività cui si è abituati fanno apparire noiose e lente le proposte scolastiche.

I casi di “abuso” di videogiochi, vengono trattato dall’OMS e dalle nuove classificazioni psicopatologiche, come NEW ADDICTIONS: vere e proprie dipendenze, alla pari di droghe o altro, spesso usati per nascondere stati depressivi e ansiosi.

E’ perciò necessario rivolgersi a terapeuti esperti se noi o i nostri figli non possiamo fare a meno di girare col cellulare  in mano, se compulsivamente aspettiamo e guardiamo i risultati dei giochi, se ci disperiamo finchè non esce un nuovo livello. Tutto ciò vale anche per la conta dei LIKE sui Social, a cui si può perfino arrivare ad affidare una misura del nostro valore personale.

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Homo digitalis, in che direzione va la specie?

I PRO

Ma vi sono dunque dei “pro”? Verrebbe da dubitarne dopo quanto appena letto. Invece ci sono, e ce ne sono parecchi.

Ciò di cui abbiamo appena scritto è da imputarsi all’uso ECCESSIVO di questi strumenti e alla QUALITÀ’ dei giochi scelti. Non vi è dubbio, invece, che un utilizzo moderato e controllato di alcune App abbia influenze positive sullo sviluppo cognitivo (per esempio: attenzione sostenuta, visione laterale, velocità di risoluzione dei problemi imprevisti) e sulla coordinazione visuo-motoria del ragazzo. Gli scienziati hanno più volte dimostrato che tra televisione e videogioco è da preferirsi il secondo, in quanto è richiesta una interazione e non solo una visione passiva.

Ma quello su cui vogliamo qui soffermarci, è quello di cui ci è stata chiesta un’argomentazione: l’utilizzo TERAPEUTICO del videogioco.

Facciamo solo degli esempi per capirci in modo semplice:

  • F. è un tredicenne con patologia motoria congenita ingravescente e invalidante. Fa fatica a stare in piedi, può uscire poco da casa. In questo caso, lo strumento tecnologico può diventare supporto, anziché ostacolo, alla socializzazione ed elemento di prevenzione per ricadute depressive a causa della solitudine forzata.
  • Se gli aspetti depressivi si fossero già instaurati, ecco il caso esempio di S., ventenne, che ha scoperto assieme al suo terapeuta che, nei momenti in cui l’angoscia la soffoca, può spegnere “quell’interruttore” ritirandosi per mezz’ora (questo è un tempo concordato tra lei e il terapeuta) in un mondo virtuale. Questo stacco dalla sua realtà interna dolorosa le permette di riaffrontarla con un respiro diverso.
  • M., ancora, è un ragazzo di 17 anni con autismo ad alto funzionamento. Ha un livello scolastico molto basso, paragonato per livello di apprendimento ad un bambino di 7 anni, eppure è in grado di progettare (ma non spiegare) un software se gli viene fornito lo strumento idoneo.. Non è un genio, è un Asperger cui è stato dato il giusto modo di esprimersi!

La conclusione è ancora una volta scontata, quindi: il male e il bene delle cose non sta nelle cose stesse, ma nell’uso che ne facciamo.

Sono assolutamente consapevole di aver trattato l’argomento in estrema sintesi e in modo molto incompleto, ma mi piaceva l’idea di cominciare a parlarne e sarei veramente contenta se questo blog potesse diventare occasione di scambio tra genitori o con i ragazzi stessi che hanno molto da dirci in merito.

A voi la parola, lo scambio, il reciproco sostegno…

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Disegno fatto al PC da una bambina di 7 anni …creatività è bene, sempre