Psico-Pillola, rilassamento, terapia

Disturbi psicosomatici e Training Autogeno

Cosa sono i disturbi psicosomatici?

Più volte in questo blog ne abbiamo parlato, ma oggi vogliamo accennare a quella componente psicologica e neurobiologica che li mette in moto. Come sempre ne parleremo in modo estremamente semplificato: ci interessa qui solo comprendere come funzioniamo, senza entrare nei dettagli che competono ai professionisti, che possono eventualmente aiutarci ad approfondire.

La Psicosomatica è quella branca della medicina e della psicologia che si occupa di patologie che non hanno una causa organica immediatamente riscontrabile, la cui origine è da ricercarsi in particolari condizioni psichiche. Questo NON SIGNIFICA che chi ha un disturbo psicosomatico se lo è inventato né tanto meno che se lo immagina. Il disturbo o la malattia psicosomatica sono reali come qualunque altra malattia, soltanto che la causa iniziale non è stato un battere, un virus, una lesione, ma una condizione interna di natura emotivo-psicologica. Ma quando il disturbo si è manifestato nel corpo, e magari si è già fatto malattia, si deve curare nel corpo oltre che cercarne le cause nella mente, ammesso che tra corpo e mente vi sia una distinzione. Attualmente, infatti, la maggior parte degli scienziati ritiene che questa distinzione non esista. Si parla piuttosto di EMBODDIED COGNITION, SELF EMBODDIED, EMBODDIED EMOTION: cognizione/IO/emozione-incarnata. Tutto ciò che viviamo e pensiamo, perciò, avrebbe una corrispondente attivazione nel corpo. Spesso sono attivazioni muscolari, viscerali, endocrine così impercettibili che sfuggono alla nostra consapevolezza, eppure sono tanto veloci quanto intense. Così intense che, se ripetute nel tempo, cominciano ad essere un disturbo nella parte che si attiva e, se ignorate, possono diventare una vera e propria malattia. E’ importante quindi sapere che questo accade, sempre! Ed è quindi importante imparare ad ascoltarsi, a conoscersi, ad individuare queste attivazioni prima che divengano permanenti.

Il Training Autogeno è un valido strumento per imparare questo ascolto di se stessi. Vi sono anche altri validi strumenti, ovviamente, ma personalmente mi sono appassionata a questo perché ha solide basi, anni di riscontri e, soprattutto, rende la persona indipendente da una guida esterna. Il metodo nasce infatti dalle osservazioni di J. H. Shultz, psichiatra tedesco che, usando l’ipnosi con i suoi pazienti, notò come tutti raccontassero “al risveglio” alcune esperienze fisiche. Decise perciò di provare a fare il percorso inverso e la sua intuizione fu geniale: partendo dal corpo si può indurre uno stato simile all’ipnosi vigile, a cui  le persone che lo praticano regolarmente possono giungere da sole.

E’ soprattutto importante sapere che il TA non ha come obiettivo il “rilassamento”, che comunque si ottiene. L’obiettivo del TA è IL RIEQUILIBRIO DEL SISTEMA NERVOSO AUTONOMO, RISCRIVENDO I CIRCUITI NEURALI.

Tutto ciò permette di ottenere rapidamente benefici sia a livello fisico che mentale, in autonomia, DOPO aver imparato il metodo con una persona esperta ed autorizzata: è bene ricordare che uno strumento buono, in mani inesperte, può diventare un’arma pericolosa( vedi nota).

Nelle sezioni dedicate di questo sito (Corsi di Rilassamento), si può vedere che le formule proposte dallo Studio FisicaMente, per apprendere il TA o altri metodi di rilassamento, sono varie. La novità di quest’anno è la formula del week-end intensivo. Il vantaggio di questa formulazione è il breve tempo in cui ci si può portare a casa lo strumento sebbene, a differenza di un percorso settimanale, non dia modo di discutere le esperienze fatte a casa durante la settimana. Abbiamo però pensato a questa proposta, proprio per chi non riesce a trovare uno spazio costante nella sua agenda e l’esperienza già vissuta il 6 e 7 luglio, ci ha mostrato che anche lo stare assieme due giorni consecutivi, vivendo questa realtà in modo intensivo, apre finestre diverse, ma su paesaggi altrettanto splendidi.

Ripropongo perciò il “Modulo Base” il 21 e 22 settembre 2019 (iscrizioni entro il 20 agosto), mentre con chi ha già fatto l’esperienza ci diamo appuntamento il 16 e 17 novembre 2019 (iscrizioni entro il 10 ottobre).

Un’altra opportunità, per chi volesse solo “assaggiare”, o “ri-gustare”, è quella del mini-stage che si terrà tra le meravigliose Alpi Carniche, presso il rifugio “F.lli De Gasperi” il 16 e 17 agosto (iscrizioni entro il 12 agosto).

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Se desideri altre informazioni contattami pure!

Buona estate!!

NOTA. Facciamo veramente attenzione: internet ha aperto grandi possibilità nel bene come nel male. E come non mancano le persone oneste e scrupolose così non manca chi approfitta di corsi venduti vergognosamente on-line, che alla fine rilasciano attestati molto simili a quelli veri. Come possiamo difenderci? Facendo attenzione! Ma tanta, perchè una cosa in cui queste persone sono davvero  brave è il saperci raggirare attraverso i nostri punti deboli. Occhio ai “titoli” che esibiscono quindi: quando accanto al nome della tecnica trovate diciture come “mediatore di”, “facilitatore di”, “accompagnore in”…alzate le antenne: molte volte sono escamotage letterari per aggirare l’ABUSO DI PROFESSIONE. Questi metodi, nella loro formulazione autentica, sono di SOLA PERTINENZA DI MEDICI E PSICOLOGI. Gli altri potrebbero fare danno, nel migliore dei casi vi stanno solo frodando.

Mi sono dilungata su questa cosa perchè non passa giorno in cui non legga di truffe, specialmente su facebook: ricordiamo che tutti possono scrivere quello che vogliono, e ciò che si scrive non sempre è vero. Affronto questo delicato tema a malicuore, ma devo farlo per obbligo etico e deontologico, poichè la promessa dell’operatore sanitario è: NON NUOCERE E TUTELARE L’UTENTE. L’importante è essere consapevoli di chi abbiamo scelto per la nostra salute. Se sappiamo che stiamo battendo vie sperimentali ed alternative siamo liberi di farlo, purchè lo stiamo facendo per libera scelta e non sotto inganno.

divulgativo, Lavorare con i bambini, terapia

Un gioco da ragazzi o un lavoretto da bambini?

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Parola d’ordine: colore!

Chiunque lavori con i bambini nei più svariati ambiti possibili (dall’educatore al riabilitatore, sia esso terapista o terapeuta) conosce molto bene quanto il gioco sia importante sia per il bambino sia per la relazione condivisa con lui. Prima ancora di parlare di professionisti, potremmo dire che a nessun genitore può essere sfuggita l’attenzione e la dedizione che il proprio figlio riserva al gioco.

Giocare è un vero compito di crescita per il piccolo, è la palestra dove si forgiano i pensieri, si temprano i simboli, si sperimentano i ruoli. Quando qualcosa è facile siamo soliti dire che si tratta di “un gioco da ragazzi”: nulla di più inesatto a mio parere. Saper giocare richiede competenze via via crescenti e maturazioni neurologiche che, se non sono raggiunte, comportano un inevitabile ritardo di sviluppo intellettivo e affettivo.
Il neonato, come ogni cucciolo, nasce con l’istinto del gioco, ma nei primi mesi di vita è il genitore che assegna un significato ai richiami ludici del figlio: è questa assegnazione a far sì che il bambino cominci a crearsi un repertorio di significati che può mettere in memoria, per poi usarlo per farsi capire.
A mano a mano che il bambino cresce, cresce anche il gioco: si arricchisce di significati e competenze, passa da una prima fase prettamente psicomotoria (tutto passa attraverso il corpo, il contatto e il movimento) ad una fase simbolica (il “far finta di”) ad una fase astratta (giochi di regole e di società) che è quella che permane anche nell’adulto (gli hobbies, le varie forme di arte, lo sport… sono ciò che è diventato il gioco in noi).
E’ quindi fondamentale diritto del bambino e del ragazzo avere tempi e spazi di gioco adeguati alla sua età, nonché qualcuno con cui giocare: mamma e papà prima, gli amici poi. Ma sempre occorre che ci siano degli occhi accoglienti che approvino quell’operato e autorizzino il piccolo uomo a sentirsi competente. Forse, la moda di questi ultimi anni, di condividere spesso qualcosa di sè sui social, risponde allo stesso bisogno: cercare occhi che approvino e ci facciano sentire competenti, sociali e socializzati.
Cosa accade, allora, se per qualche motivo, biologico o esperienziale, il gioco perde attrattiva, i giocattoli non hanno mordente, il bambino non gioca? Ovviamente la risposta è molteplice, tante sono le cause tante sono le possibili risposte, e non è certo mia intenzione semplificare qui le cose fino a renderle banali. Tuttavia, ne faccio luogo di riflessione condivisa: se il bambino o il ragazzo (noi compresi) non vuole giocare, sta chiaramente esprimendo un disagio e la cosa non si può sottovalutare.
Il terapista o il terapeuta (a seconda dell’ambito di gravità in cui ci stiamo muovendo) ha il delicato compito di riaprire le porte della fantasia di chi gli viene affidato. E’ quindi assolutamente necessario che il professionista sappia giocare davvero.

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Chi stiamo aspettando?

E questa è la parte difficile!
Il bambino sente se fingiamo: se non siamo con lui totalmente neppure lui ci concederà la sua intimità. Saper giocare davvero, significa lasciar andare la ragione, lasciar vivere il bambino non condizionato che è in noi… e ciò, davvero, non è sempre immediato, visto quanto abbiamo faticato per diventare “grandi”.
E’ ovvio che, nel contempo, l’adulto deve restare adulto e condurre dolcemente per mano il suo compagno di avventura, oltre le terre del timore, nell’incantato bosco ove tutto è possibile.
Il materiale, i giocattoli, a tal fine dovrebbero essere il meno strutturati possibile:

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Vedi tre bottiglie bianche? Sbagliato! Sono tre cavalieri che difendono Roccarosa!

una sveglia è una sveglia, ma una scatola di latta può essere sia una sveglia che un cofanetto del tesoro.
Quando abbiamo a che fare con bambini più grandi è ovvio che la proposta di gioco dovrà invece spesso assumere regole e strutture di qualche tipo. Se si gioca a Memory o a carte, per esempio, si dovranno seguire le regole di quel gioco mentre si lasciano uscire emozioni e confidenze. Ma a volte accade che, proprio in quell’attimo, la creatività fa il suo ingresso terapeutico e le carte diventano dischi volanti.

Qualcuno dei primi terapeuti della mente infantile disse qualcosa che suonava più o meno così: il gioco è, per il bambino, ciò che per l’adulto è il colloquio e i giocattoli sono le parole.
E quando ciò non è possibile, si riparte da ancora più indietro, si riparte dal corpo e gli si chiede di poter sperimentare sensazioni, di esprimere e tollerare emozioni, salti nel vuoto e vorticose cadute… e tutto diventa metafora.

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Campo di battaglia e giardino di sogni!

Buon gioco a ciascuno di noi, allora! Che le nostre parole siano sempre “colorate”!

4.0