divulgativo, Lavorare con i bambini, terapia

Un gioco da ragazzi o un lavoretto da bambini?

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Parola d’ordine: colore!

Chiunque lavori con i bambini nei più svariati ambiti possibili (dall’educatore al riabilitatore, sia esso terapista o terapeuta) conosce molto bene quanto il gioco sia importante sia per il bambino sia per la relazione condivisa con lui. Prima ancora di parlare di professionisti, potremmo dire che a nessun genitore può essere sfuggita l’attenzione e la dedizione che il proprio figlio riserva al gioco.

Giocare è un vero compito di crescita per il piccolo, è la palestra dove si forgiano i pensieri, si temprano i simboli, si sperimentano i ruoli. Quando qualcosa è facile siamo soliti dire che si tratta di “un gioco da ragazzi”: nulla di più inesatto a mio parere. Saper giocare richiede competenze via via crescenti e maturazioni neurologiche che, se non sono raggiunte, comportano un inevitabile ritardo di sviluppo intellettivo e affettivo.
Il neonato, come ogni cucciolo, nasce con l’istinto del gioco, ma nei primi mesi di vita è il genitore che assegna un significato ai richiami ludici del figlio: è questa assegnazione a far sì che il bambino cominci a crearsi un repertorio di significati che può mettere in memoria, per poi usarlo per farsi capire.
A mano a mano che il bambino cresce, cresce anche il gioco: si arricchisce di significati e competenze, passa da una prima fase prettamente psicomotoria (tutto passa attraverso il corpo, il contatto e il movimento) ad una fase simbolica (il “far finta di”) ad una fase astratta (giochi di regole e di società) che è quella che permane anche nell’adulto (gli hobbies, le varie forme di arte, lo sport… sono ciò che è diventato il gioco in noi).
E’ quindi fondamentale diritto del bambino e del ragazzo avere tempi e spazi di gioco adeguati alla sua età, nonché qualcuno con cui giocare: mamma e papà prima, gli amici poi. Ma sempre occorre che ci siano degli occhi accoglienti che approvino quell’operato e autorizzino il piccolo uomo a sentirsi competente. Forse, la moda di questi ultimi anni, di condividere spesso qualcosa di sè sui social, risponde allo stesso bisogno: cercare occhi che approvino e ci facciano sentire competenti, sociali e socializzati.
Cosa accade, allora, se per qualche motivo, biologico o esperienziale, il gioco perde attrattiva, i giocattoli non hanno mordente, il bambino non gioca? Ovviamente la risposta è molteplice, tante sono le cause tante sono le possibili risposte, e non è certo mia intenzione semplificare qui le cose fino a renderle banali. Tuttavia, ne faccio luogo di riflessione condivisa: se il bambino o il ragazzo (noi compresi) non vuole giocare, sta chiaramente esprimendo un disagio e la cosa non si può sottovalutare.
Il terapista o il terapeuta (a seconda dell’ambito di gravità in cui ci stiamo muovendo) ha il delicato compito di riaprire le porte della fantasia di chi gli viene affidato. E’ quindi assolutamente necessario che il professionista sappia giocare davvero.

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Chi stiamo aspettando?

E questa è la parte difficile!
Il bambino sente se fingiamo: se non siamo con lui totalmente neppure lui ci concederà la sua intimità. Saper giocare davvero, significa lasciar andare la ragione, lasciar vivere il bambino non condizionato che è in noi… e ciò, davvero, non è sempre immediato, visto quanto abbiamo faticato per diventare “grandi”.
E’ ovvio che, nel contempo, l’adulto deve restare adulto e condurre dolcemente per mano il suo compagno di avventura, oltre le terre del timore, nell’incantato bosco ove tutto è possibile.
Il materiale, i giocattoli, a tal fine dovrebbero essere il meno strutturati possibile:

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Vedi tre bottiglie bianche? Sbagliato! Sono tre cavalieri che difendono Roccarosa!

una sveglia è una sveglia, ma una scatola di latta può essere sia una sveglia che un cofanetto del tesoro.
Quando abbiamo a che fare con bambini più grandi è ovvio che la proposta di gioco dovrà invece spesso assumere regole e strutture di qualche tipo. Se si gioca a Memory o a carte, per esempio, si dovranno seguire le regole di quel gioco mentre si lasciano uscire emozioni e confidenze. Ma a volte accade che, proprio in quell’attimo, la creatività fa il suo ingresso terapeutico e le carte diventano dischi volanti.

Qualcuno dei primi terapeuti della mente infantile disse qualcosa che suonava più o meno così: il gioco è, per il bambino, ciò che per l’adulto è il colloquio e i giocattoli sono le parole.
E quando ciò non è possibile, si riparte da ancora più indietro, si riparte dal corpo e gli si chiede di poter sperimentare sensazioni, di esprimere e tollerare emozioni, salti nel vuoto e vorticose cadute… e tutto diventa metafora.

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Campo di battaglia e giardino di sogni!

Buon gioco a ciascuno di noi, allora! Che le nostre parole siano sempre “colorate”!

4.0

Pensieri condivisi, Senza categoria

Ogni strada ha un inizio…

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Lo so, è un titolo banale!

Ma mi si invitava ad un articolo di prova e l’immagine che si è subito affacciata alla mia mente è quella di un possibile viaggio assieme.

Vorrei infatti usare queste pagine per condividere ciò che mi appassiona di volta in volta, ciò che vado scoprendo di giorno in giorno. Condivisione di letture o di esperienze fatte nel quotidiano. Magari, perchè no, trattare argomenti proposti anche da chi legge o, altre volte, condividere articoli già scritti da altri.

Non importa se saranno cose semplici o complesse, ciò che conta è che siano utili a qualcuno, interessanti per altri, scritte con il cuore per tutti.

Un cammino assieme, insomma.

Si tira a turno, l’importante è proseguire fino alla fine del sentiero.

Ecco fatto! Ho scritto il primo articolo del blog!

Scrivi anche tu se ti fa piacere..

Benvenuto!